Poi venne il sole, sulle pareti di piastrelle verde acqua della casa sul viale. Cucinavo una pasta con mani tremanti, cercando di ricompormi, di riprendere il controllo dopo l’incredulità della fine di quella fervente attesa. Tutto quell’aspettare il tuo arrivo, le volte in cui avevo immaginato quel momento, il tuo rientro…erano finiti…e tu eri realtà, là, di fronte a me.
E quella che provavo era una gioia intensa, un’emozione così forte e al tempo stesso così precaria, da farmi tremare le mani, mentre tagliavo l’aglio con quel grosso coltello dal manico d’osso, ti ricordi?
Lo sapevi che mi sentivo danzare in cima a un castello di carte?
Le crepe infatti si crearono presto.
Nel tragitto dalla piazza a casa già sapevo, che il nostro rapporto si sarebbe costruito su quello squilibrio che ci saremo portati dietro fino all’ultimo giorno.
E tra l’inizio e la fine ci sono stati tanti personaggi le cui vite si sono incrociate e i destini si sono uniti grazie al nostro incontro. Come lucciole ci ronzavano attorno seguendo imperscrutabili traiettorie in questa strana entropia di cause ed effetti. Ogni tanto, mi chiedono che ne fu di quella vecchia storia.
Posso solo rispondere che io in qualche strana maniera amavo.
Amavo un bizzarro, malconcio e imperfetto noi. Amavo quando ci perdevamo nelle passeggiate a spasso indietro nel tempo, e ci raccontavamo le nostre storie. E così i nostri antenati tornavano vivi, come se Zia Rosina stesse ancora raschiando via il grasso dalle pentole con la cenere alla fine di via Nazionale.
Ma forse questo era l’unico momento che potevo davvero amare, l’unico nel quale tu eri tu ed io ero io e quella privazione di sentimenti, quella lotta per il bilancio di entrate e uscite delle nostre esistenze finalmente si interrompeva.
Nel resto del tempo tu rientravi e ti chiudevi nelle tue dannate roccaforti, nei silenzi insoddisfatti di chi non ama in principio la persona che è. Mi hai lasciato odiare persino la tua musica. Quei tuoi strumenti che occupavano letti, scrivanie, divani e pavimenti delle tre case in cui sei stato…la loro magia a cui non ti sei mai voluto piegare veramente, una gabbia di vetri trasparenti, dove tutto sembra in comunicazione e libero, ma non lo è…
Le tue mani che pizzicavano corde, scrivevano parole di Rino Gaetano, digitavano i tasti di Skype per sentire voci lontane di genitori altrettanto lontani e non solo fisicamente…
le tue mani che accendevano sigarette, accarezzavano il mio viso sempre più stanco, che si allontanava bramando altre strade, possibili altri sogni, possibili possibilità del possibile…
E le mie di mani… in cerca di anelli che mi facessero sentire davvero donna perchè donna non mi ci riuscivo a sentire affianco a te. Accarezzavano la mia immagine allo specchio, quella me, straniera e sconosciuta a me stessa. Toccavano pentole e padelle e buste della spesa e si intrecciavano alle tue per recitare meglio la parte della bella fidanzata.
Ma in quel teatro c’era poco da recitare a ben vedere. Poco cinema, poche cene romantiche, pochi viaggi, zero progetti, mille paure..incuneate tra la mia presenza-assenza pesante come un’incudine e le serate dove tu fingevi che andasse tutto per il meglio. E invece i problemi erano sempre in bella vista, urlanti e opprimenti, quando noi continuavamo a voltarci dall’altra parte per non vederli.
Infine, la casa, quell’unico progetto in cui abbiamo buttato tutte le nostre speranze. Erano lì, le nostre speranze, tra il pavimento e la cucina, e gli angoli del salotto ampio e luminoso e col parquet fatto a nuovo. Le abbiamo fatte crescere noi, le speranze, le abbiamo nutrite come animali affamati, le abbiamo fatte diventare così grandi da non poterle nemmeno contenere. Queste aspettative che poi sono andate a male, sono scadute, ripiegandosi su se stesse fino ad implodere e lasciare solo l’odore di candele spente, quando la festa è finita e si può solo andare via…
Abbiamo indugiato tanto prima di andare via. Abbiamo provato a riaccendere la miccia, far andare di nuovo la musica, riaddobbare la stanza, ma in realtà quella festa era già finita da un pezzo. L’abbiamo organizzata male, non l’abbiamo mai amata, ci siamo annoiati e lamentati di come tutto fosse così opprimente, fino a ritrovarci faccia faccia a dirci che non vedevamo l’ora di andarcene…
E poi il resto è storia…